domenica 28 dicembre 2014

e scrivo prima, e pubblico dopo

Vorrei dirti che mi sei parte,
vorrei dirti che mi sto azzeccando al fianco tuo,
vorrei dirti che sento l’imminente voglia di scrivere anche in questo treno strapieno, strapuzzolete, che trasuda sud. 
C’è il sole oggi. Il primo giorno d’inverno è caldo, e i Diaframma mi fanno compagnia, come sempre, che solo in questo modo riesco a scrivere le istruzioni di chi sono.
Vorrei dirti che non so cosa sia una coppia, che non sono mai stata coppia, che non so come ci si comporti, che sono ineducata ad amare.
Vorrei dirti che sì, sono maledettamente impulsiva, a tal punto che non ho neanche il tempo di capire cosa stia facendo, e succede che poi me ne penta.
Vorrei dirti che qualche volta ti penso sempre, ma poi va a finire che esagero.
Vorrei dirti che mi piacerebbe tanto essere retta, ma sono fatta storta e la dritta non la so emulare.
Vorrei dirti che sono forte, ma in realtà forse non lo sono abbastanza. Che tu mi inibisci, in maniera del tutto naturale, ma passerà, lo faremo passare.
Vorrei dirti che il tizio qui accanto sta leggendo tutto, ma non m’importa, e non per quelle menate tipo lo dovrò urlare al mondo etc etc, ma perché semplicemente poi tanto non lo rivedrò, non più. E se dovessi rincontrarlo, magari ne rideremo insieme.
Vorrei dirti che oggi per la prima volta sto provando la sensazione di nostalgia al contrario, non era mai capitato. Sì, perché ora il mio punto d’incastro è altrove, è nella capitale ed è lì che voglio stare. Battipaglia non ci appartiene più, e ne siamo felici.
Vorrei dirti che io la fidanzata non la so fare (vedi sopra), che però mi affeziono uguale o forse anche di più.
Vorrei dirti che sì, forse sarai più maturo tu, o forse semplicemente io avrò altri modi di dimostrarlo o di affrontare la vita.
Vorrei dirti che spesso faccio le cose per me, ma poi pure per te, perché viene automatico. E così succede che un libro che adoro, io lo compri a te, che non è un regalo. E’ solo una cosa bella che ti do. Un modo di farti bello di testa, la mia, la tua.
Vorrei dirti che sì, a volte perdo la calma, ma sono compita, non sbrocco mai. Vorrei dirti che spesso scappo, ma io solo così so fare, perché le voci non le voglio sentire. E poi succede che bevo. E che tu dici che fa male, perché lo sai che non potrei. Sei la coscienza che non ho. E te ne sono grata.
Vorrei dirti che l’idea di esser così terribilmente simili in tutto, di avere gli stessi gusti, le stesse preferenze, lo stesso modo di pensare(o quasi), mi fa paura, tanta. Temo che prima o poi tutta questa sintonia giocherà contro. Perché sì sono pessimista, sono terribilmente pessimista, ma sempre col sorriso.
Vorrei dirti che oggi per me è stata una grande piccola vittoria, e non perché io abbia avuto la meglio dopo tanti tira e molla, ma perché ho dimostrato a me stessa di potercela fare.
Vorrei dirti che il tuo cinismo mi fa paura, è un muro di gomma, ma non quelle buone, alla fragola.
Vorrei dirti che in questo momento sto invidiando la giovane donna qui accanto, che sorride con fare leggero, ma poi non del tutto, perché legge Di più, e questo non lo invidio affatto.
Vorrei dirti che adoro la montagna, ma ho un bisogno morboso del mare. Mi richiama sempre, e prima o poi devo tornarci, magari d’autunno o primavera, quando fa meno caldo e la sabbia non ti si infila ovunque.
Vorrei dirti tanto altro, ma magari un giorno comprerò un chilo di cazzimma e lo farò vis à vis, cheek to cheek. E non sarà l’alcool a farmi parlare.


L’amore ci farà a pezzi probabilmente, ma noi saremo abbastanza furbi da raccoglierne i cocci e farne un  vaso, magari di merda, spacciandolo per opera d’arte contemporanea preziosissima. E allora avremo vinto noi. L’amore ci ha già fatto a pezzi una volta, stavolta no. Un' altra volta no. E allora avremo vinto noi.




(A. Rodcenko, Manifesto per la propaganda del libro)

venerdì 19 dicembre 2014

pane e ossimori

E gnente, alla fine è capitato anche a me, di essere felice. Sì.
E non so quanto durerà, una decade, un mese, un equinozio, non lo so. Ma è così, ora.
Lui mi è sorriso. Non è difficile capire il perché.
Siamo due bambini maturi: consapevoli e folli, seri e idioti, sprovveduti e cauti, affamati e pieni, attenti come falchi e ciechi come talpe.
Siamo un ossimoro, siamo due ossimori, infiniti ossimori, insieme. Navighiamo, ci sguazziamo negli ossimori, ma a noi piace così.
Semplice.
Chi l'avrebbe mai detto? Io disillusa all'inverosimile, lui cinico nel midollo. Eppure, abbiamo deciso:
ci proviamo, poi si vedrà.
(Ah, come diceva quel tale: scrivo quando sono triste; quando sono felice, esco. Quindi perdonate, ma io ora vo')




in pic: Maria Abramovic & Ulay, "Imponderabilia", 1977.