mercoledì 23 dicembre 2015

Babbo Natale risp sul mio.

Caro Babbo Natale, quest'anno ho deciso di scriverti la letterina, così proviamo a risolvere una volta per tutte la questione regali demmerda.
Se visualizzerai e non risponderai, io capirò, perché si sa che i primi a subire le conseguenze degli straordinari lavorativi sono i contatti whatsapp, però ti chiedo almeno di spargere la voce tra i miei amici.
Come tu sai, io non so fingere e se una cosa mi fa schifo me lo si legge in faccia, ma non voglio che altri ci restino male, quindi sarebbe il caso di eliminare il disagio sul nascere.
Ti allego la lista, così tu la screenshotti e la invii al gruppo di riferimento, come da accordo tacito.
LISTA:
- Un libro di Andrea Pazienza, a piacere, se poi sono più di uno non sarebbe male, ora sono in ristampa con Fandango.
- Un Garmin Forerunner GPS, non necessariamente gli ultimi usciti che costano una rata di mutuo.
- Qualsiasi tipo di indumento ricollegabile al running, la mia ultima fissa. Se poi siete proprio buoni, le Mitzuno pare che...
- The New Yorker, Febbraio 2014, una delle più belle copertine di sempre.
- Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, vuoi mettere l'irresistibile fascino dei buchi neri?
- Un weekend in quella casa Airbnb con tante finestre sui deserti di luna, in Islanda, e letti bianchi su pavimenti di legno grezzo.
- Un distributore automatico tascabile di caffè lungo, in alternativa d'orzo.
- Un bombilla di mate, con mate annesso.
- Una pipa, rigorosamente appartenuta ad una donna.
- L'impronta digitale di un serial killer.
- Le domande splendidamente assurde dei bambini; sì lo so, ne ho sentite tante, ma non stancheranno mai.
- Il sorriso delle persone che hanno dimenticato come si fa; è un evento talmente raro, che provoca dipendenza.
- La forza di dire no ad un gioco, divertente, ma che richiede investimenti preziosi, che no, non portano a nulla, se non a farsi male.
- La libertà di dire sempre ciò che si prova e ciò che si pensa; questa è difficilissima da trovare, lo so, ma abbiamo fatto 30...
- La curiosità di sempre, dose giornaliera di umiltà intellettuale.
- La determinazione di passarci su, e inserire la retromarcia.
E se proprio t'avanza:
- Il gene che non ho, l'altro mozzicato me lo tengo, perché un gene mutato fa figo.
Ecco, questo è quanto.
Credo di non aver tralasciato nulla.
Ah White-Bearded Santa, se non dovessero risponderti, non imbronciarti, probabilmente ti avranno bloccato perché si sa che i grandi non possono credere alla tua barba bianca, per questione di convenzioni. Non comparirà la doppia spunta, ma tranquillo, ad ogni modo ti dovrò un favore.

martedì 15 dicembre 2015

la sobrietà di un pianeta famoso

Ci sono giorni in cui Fiore sgomita, e la sua predominanza diventa inevitabile.
Giorni in cui sbatti imprecazioni crude ad un cumulo di pixel. Giorni di massima saturazione, oltre il quale inciampi in pozzanghere di rabbia.
Allora decidi di fare l'unica cosa che da mesi ti riesce: correre.
Se devo passare l'intero pomeriggio in trame ipotetiche e magoni incazzati, no. E vaffanculo, io esco e corro.
Ci sono spifferi inconsistenti da lasciare sull'asfalto, attese e rodimenti di culo.
Ho una pazienza infinità, si sa, smisurata, che si autoriproduce, continuamente (non potrei fare il mio lavoro, altrimenti), ma a tutto c'è un limite, e quel limite è dettato dalla consapevolezza.
[E poi c'è un'icona bella, bellissima, che se mi avessero detto, avrei risposto: ma figurati!
Però si sa: dove c'è un sorriso troppo pronunciato, arriva Fiore a dare il peggio.
Perché in questi momenti, Fiore è l'unica arma di difesa:
"Allora il piano è il seguente: devi farti allontanare, perché Masaria, ammettiamolo: sei uno sciglio di femmina".
Missione compiuta Fiore, ma consentimi di dirti che stavolta hai fatto una grandissima cazzata!]
Esco di casa, frettolosamente, correre è l'unico placebo che ora conosco e che, guarda un po', funziona. Oggi sarebbe dovuto esser il giorno di riposo, come da imposizione, ma non riesco.
I primi km sono sempre un muro, il fiato arranca, è un lavoro lungo. Ma oggi 'sti cazzi, non c'è spazio per tabelle e m/k: io corro perché non so piangere, e in qualche modo 'sto groviglio incazzato devo buttarlo fuori. Mi fermo quando ne ho voglia, mi guardo intorno, riprendo a ritmo confuso.
Momenti in cui tutto sparisce: ci sei solo tu, il tuo corpo e l'attorno indefinito.
E la triade richiede talmente tanto sforzo che proprio non riesci a pensare ad altro. Un toccasana.
Questo per un tratto. Arriva poi il punto in cui spezzi il fiato, è un momento bellissimo, che da solo vale tutto lo sbattimento. Il respiro rema a favore, e allora vai. Le gambe spingono, ingorde di strada.
Sorridi.
Ma basta una curva.
Dietro l'angolo, il vialone insolitamente deserto. A far da padrona, la luce del sole, che sobria e composta ti invita a fermarti. Tu c'hai provato a non, ma lei ti chiede di farlo, è il caso.
L'ascolto, mi fermo e mi siedo. Non dice nulla, è lì, sa che questo abbasta.
E allora risale tutto, ma proprio tutto. Cose belle e cose brutte. Non resta che stare in silenzio concedere al tutto il diritto di parola.
Vorrei dire che è stato un confronto bello, degno delle migliori riunioni di condominio; ma non lo è stato, una grandissima merda, in verità, come le migliori riunioni di condominio.
Al termine dell'arringa di gruppo, fisso l'ultimo monologo con una puntina ragionevole al muretto a secco, saluto le incomprensioni e riparto.
Questa non è una storia a lieto fine: torno a casa, e sto comunque di merda. L'assenza è una costante, ho imparato a conviverci, ma non a domarla. Non ci si abitua mai, di qualsiasi natura essa sia.
Ogni tanto, però, ti capita di girare l'angolo e trovare una stretta di sole.