martedì 15 dicembre 2015

la sobrietà di un pianeta famoso

Ci sono giorni in cui Fiore sgomita, e la sua predominanza diventa inevitabile.
Giorni in cui sbatti imprecazioni crude ad un cumulo di pixel. Giorni di massima saturazione, oltre il quale inciampi in pozzanghere di rabbia.
Allora decidi di fare l'unica cosa che da mesi ti riesce: correre.
Se devo passare l'intero pomeriggio in trame ipotetiche e magoni incazzati, no. E vaffanculo, io esco e corro.
Ci sono spifferi inconsistenti da lasciare sull'asfalto, attese e rodimenti di culo.
Ho una pazienza infinità, si sa, smisurata, che si autoriproduce, continuamente (non potrei fare il mio lavoro, altrimenti), ma a tutto c'è un limite, e quel limite è dettato dalla consapevolezza.
[E poi c'è un'icona bella, bellissima, che se mi avessero detto, avrei risposto: ma figurati!
Però si sa: dove c'è un sorriso troppo pronunciato, arriva Fiore a dare il peggio.
Perché in questi momenti, Fiore è l'unica arma di difesa:
"Allora il piano è il seguente: devi farti allontanare, perché Masaria, ammettiamolo: sei uno sciglio di femmina".
Missione compiuta Fiore, ma consentimi di dirti che stavolta hai fatto una grandissima cazzata!]
Esco di casa, frettolosamente, correre è l'unico placebo che ora conosco e che, guarda un po', funziona. Oggi sarebbe dovuto esser il giorno di riposo, come da imposizione, ma non riesco.
I primi km sono sempre un muro, il fiato arranca, è un lavoro lungo. Ma oggi 'sti cazzi, non c'è spazio per tabelle e m/k: io corro perché non so piangere, e in qualche modo 'sto groviglio incazzato devo buttarlo fuori. Mi fermo quando ne ho voglia, mi guardo intorno, riprendo a ritmo confuso.
Momenti in cui tutto sparisce: ci sei solo tu, il tuo corpo e l'attorno indefinito.
E la triade richiede talmente tanto sforzo che proprio non riesci a pensare ad altro. Un toccasana.
Questo per un tratto. Arriva poi il punto in cui spezzi il fiato, è un momento bellissimo, che da solo vale tutto lo sbattimento. Il respiro rema a favore, e allora vai. Le gambe spingono, ingorde di strada.
Sorridi.
Ma basta una curva.
Dietro l'angolo, il vialone insolitamente deserto. A far da padrona, la luce del sole, che sobria e composta ti invita a fermarti. Tu c'hai provato a non, ma lei ti chiede di farlo, è il caso.
L'ascolto, mi fermo e mi siedo. Non dice nulla, è lì, sa che questo abbasta.
E allora risale tutto, ma proprio tutto. Cose belle e cose brutte. Non resta che stare in silenzio concedere al tutto il diritto di parola.
Vorrei dire che è stato un confronto bello, degno delle migliori riunioni di condominio; ma non lo è stato, una grandissima merda, in verità, come le migliori riunioni di condominio.
Al termine dell'arringa di gruppo, fisso l'ultimo monologo con una puntina ragionevole al muretto a secco, saluto le incomprensioni e riparto.
Questa non è una storia a lieto fine: torno a casa, e sto comunque di merda. L'assenza è una costante, ho imparato a conviverci, ma non a domarla. Non ci si abitua mai, di qualsiasi natura essa sia.
Ogni tanto, però, ti capita di girare l'angolo e trovare una stretta di sole.




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