mercoledì 22 ottobre 2014

autismo inoltrato

Mi invita ad uscire, mi lascio convincere, non so perché, o forse perché no.
Gli dico che ho voglia di birra, è una vita che non ne bevo. Conosce un posto carino, dove ne servono di veramente buona. Mi fido, della birra, sia chiaro.
Ora è un po' impacciato, lo osservo. Abbasso leggermente la testa, parlo con gli occhi.
Adoro farlo, so che i miei occhi hanno una capacità comunicativa calamita. Come se stessero dicendo tanto, in silenzio, tutto quello che la persona di fronte vuole sentirsi dire. E questo mi piace.
Comincia a raccontarsi, si ferma, mi domanda, vuole sapere, tutto, di me. Io parlo, la birra è ottima, la cameriera molto gentile, ai vetri Keith Haring, in sottofondo i Clash: mi sento praticamente a casa, ha scelto il posto giusto. Parlo, e ancora parlo, mi fermo, temo di essere logorroica. No, lui mi chiede di continuare, vuole sapere tutto di me, obbedisco, continuo. Mi guarda: dove ti sei nascosta tutto questo tempo? Come ho fatto a non goderti prima? Latina ha bisogno di gente così. Così come? Qui la gente è piattume, si ferma al bordo, tu sei "wuof ua", sorrido, n'altro matto. Lui mi racconta che usa spesso suoni onomatopeici per descrivere le cose, aiutano a chiarire il concetto. Mi guarda, a lungo, dice che sono bella, che sorrido con gli occhi. Ma io l'ho già sentito, troppe volte, sono tentata a rispondere con la tipica frase affilata, ad hoc. Desisto. In fondo, è sempre bello sentirselo dire.
Finiamo la birra, decidiamo di camminare. Ho i tacchi, non m'importa, voglio camminare. Il vento è gelido, affetta le guance. Sono felice: finalmente è arrivato il freddo. Non aspettavo altro, l'autunno è mio, me lo sento dentro, sottopelle. Finalmente è arrivato, mi ha ascoltata. Sono una bambina al lunapark: guardo i rami dalla testa dondolante, le strade scavate, assaggio le folate, lo senti il rumore? Guarda il libretto dell'Ikea, è uno scaffale a due ripiani, credo, senza ante, povero, nessuno ci bada. Solo ora mi accorgo che lui è lì, in silenzio, mi guarda. Scusa, lo so che posso sembrare un po', così, ma sono momenti.
Il mio è autismo inoltrato.
Ride.
Spiego che fra un po' dovrò rientrare. Mi invita a sedere sulle panchine di un giardino dimenticato. Chiacchieriamo, stavolta il tono della voce è diverso. Tipico imbarazzo di quando la situazione cambia radicalmente: siamo ancora noi, ma questo è un non luogo, le intenzioni cambiano, il messaggio pure. Provo a buttar giù qualche frase, per sgonfiare l'imbarazzo. Si avvicina, mi bacia. Resto interdetta. Ma non mi scanso, non voglio. Non sono mai stata timida, tantomeno ora, alla soglia dei trenta. Il livello della Mia conoscenza di Me Mi permette di azzardare molto più facilmente: so dove, so come muovermi. (Ah, l'allitterazione)
Spiego che è arrivato il momento di andare. So quando è il momento di andare.
Ci avviamo verso casa, vuole rivedermi, al più presto. Non rispondo. Poggio la mano dietro il suo collo, mi avvicino, lo bacio. Poi mi avvio verso il cancello, senza voltarmi, so che lui mi sta guardando. Quanto mi piace giocare!
In ascensore, sorrido soddisfatta. Io sono così: visceralmente annodata a questo gioco di istinti, è più forte di me. Non è la persona, quanto la pulsione intellettiva che ne consegue. In amore si è egoisti, si sa.
Passano pochi minuti, trovo un messaggio: tornando a casa l'ha sentito, l'autismo inoltrato. Camminare con il vento in faccia, la luce fioca del Nicolosi, di notte, a ottobre.
Sorrido, bella vero, la sensazione di autismo inoltrato? Conferma. Poi richiede: chi ti ha mandata qui, da me? Non lo so. Forse il catalogo Ikea.




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